La storia
degli Stati Uniti inizia con la dichiarazione
di indipendenza del 4 luglio 1776 delle
13 colonie inglesi. La colonizzazione
dell’America settentrionale era stata
iniziata nel secolo XVII da Francesi
e Inglesi; insorte in Europa rivalità
anglo-francesi, queste si erano ripercosse
nelle colonie d’America provocando conflitti,
durante i quali si era venuta affacciando
l’idea dell’autonomia, poi consolidatasi
a causa del rigido atteggiamento del
governo di Londra nei confronti delle
rivendicazione locali. Gli Stati Uniti
si diedero la prima costituzione nel
1778 e videro definitivamente riconosciuta
la loro indipendenza dal trattato di
Parigi del 1783. Nel 1787 veniva introdotta
la costituzione federale; I presidente
fu George Washington. Il secolo XIX
vide una vastissima espansione territoriale
degli Stati Uniti e una grande immigrazione
di forze di lavoro dai paesi europei.
La politica schiavista degli stati del
Sud portò alla scoppio di una
guerra civile, la cosiddetta guerra
di secessione (1861-65), tra questi
e gli stati del Nord, guidati da Lincoln;
l’esito della guerra, favorevole ai
nordisti, restituiva agli schiavi la
libertà e portò ad un
consolidamento dell’unità del
paese. Nel 1904, sotto la presidenza
di Roosevelt, ebbero inizio i lavori
del Canale di Panama, inaugurato nel
1914. Nel 1913 trionfarono i democratici
con Wilson, che nel 1917 decise l’intervento
nella I guerra mondiale a fianco dell’Intesa,
e al Congresso della Pace si fece propugnatore
della Società delle Nazioni.
Nel 1929 si verificò una grave
crisi economico-finanziaria, la cui
risoluzione fu avviata dal democratico
F. D. Roosevelt con un vasto piano di
rinnovamento economico-sociale. Dopo
lo scoppio della II guerra mondiale,
gli Stati Uniti si manifestarono dapprima
favorevoli al non intervento, ma in
seguito furono indotti ad intervenire
dall’improvviso attacco giapponese.
Nel 1945, alla morte di Roosevelt gli
successe il democratico Truman, che
portò alla definitiva vittoria
il paese. Dopo la fine del conflitto
gli Stati Uniti iniziarono una politica
di aiuti all’ Europa, promossero la
stipulazione del Patto Atlantico e svolsero
un ruolo determinante nella guerra di
Corea. Truman, rieletto nel 1949, fu
poi sostituito da Eisenhower di parte
repubblicana al quale successero i democratici
Kennedy e Johnson. I negoziati tra nord
e sudvietnamiti del 1969 furono appoggiati
da Nixon, che iniziò il ritiro
delle truppe americane dal Vietnam.
Quando nel 1980 salì alla carica
presidenziale, Reagan trovò un'America
politicamente debole e con un'economia
in condizioni precarie. La politica
da lui attuata fu battezzata "reaganomics".
Nel 1988 gli statunitensi elessero come
nuovo presidente George Bush; dopo il
lungo periodo repubblicano, le elezioni
del 1992 furono vinte dai democratici
guidati da Bill Clinton che, poco dopo
il suo insediamento, fu coinvolto in
una serie di episodi scandalistici e,
per la perduta popolarità, alle
elezioni del 1994 i repubblicani conquistarono
la maggioranza. le elezioni del 2000
furono tra le più combattute
della storia degli Stati Uniti e solo
alla fine dell’anno la Corte Suprema
dichiarò la vittoria di Bush.
L’11 settembre 2001 gli Stati Uniti
vennero colpiti da un attacco terroristico,
lanciato contro i simboli del potere
politico ed economico; l’azione, anche
se non rivendicata, venne attribuita
al radicalismo islamico e a uno dei
suoi principali esponenti, Osama Bin
Laden. Dopo l’attentato, Bush lanciò
una campagna diplomatica volta a ottenere
il sostegno internazionale per un’offensiva
contro l’organizzazione di Al Qaeda
e contro l’Afghanistan, che ne ospitava
le basi. Il 7 ottobre la coalizione
capeggiata dagli Stati Uniti lanciò
contro l’Afghanistan l’operazione “Enduring
Freedom” (“Libertà duratura”),
rivolta a favorire l’instaurazione di
un regime moderato nel paese. In occasione
del primo anniversario dell’attacco
terroristico, Bush ribadì l’impegno
degli Stati Uniti contro il terrorismo,
indicando nell’Iraq di Saddam Hussein,
sospettato di possedere armi di distruzione
di massa, il principale obbiettivo della
strategia militare statunitense. Pochi
giorni dopo il presidente Bush si dichiarò
pronto ad attaccare il paese e, agli
inizi di ottobre, ottenne il sostegno
del Congresso, che lo autorizzò
a utilizzare la forza contro l’Iraq.
Il mese seguente il Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite decise l’invio di
ispettori internazionali in Iraq e minacciò
serie conseguenze in caso di mancato
disarmo. Di fronte a un rallentamento
delle ispezioni, Bush richiese alle
Nazioni Unite l’autorizzazione all’uso
della forza, che però gli venne
negata; con l’appoggio militare di Regno
Unito, Australia e Polonia, e il sostegno
di altre nazioni, gli Stati Uniti decisero
di agire il 20 marzo 2003 e diedero
inizio all’operazione “Iraqi Freedom”.
Dopo la caduta di Baghdad, Kirkuk, Mosul
e Tikrit, Bush dichiarò ufficialmente
guerra all’Iraq il 1° maggio. La
situazione in Iraq permane in uno stato
di precarietà che nemmeno l’arresto
di Saddam Hussein il 13 dicembre 2003
pare aver modificato: la disoccupazione
dilagante, i contrasti tra il CPA e
il governo locale, l’ostilità
del popolo iracheno verso gli occupanti
sembrano allontanare la conclusione
di una guerra senza fine.
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